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STEVEN KLEIN: L'importanza di essere estremo


Tutti conoscono Steven Klein, anche chi non ha mai pronunciato il suo nome. Chi non ha visto le sue foto di Madonna, con o senza Jesus (Luz), di Brad e Angelina, dei Beckham o il video Ale-Alejandro Ale-Alejandro di Gaga? Magari i più esperti ricordano a memoria anche i suoi ultimi editoriali di moda per Vogue o per altre riviste patinate, ma quanti di noi si sono accorti che da qualche tempo quello che era il suo aggiornatissimo sito internet, si è trasformato in un blog di qualche pagina? La mossa, in palese controtendenza con tutti gli artisti in ascesa che si rispettino, è in realtà più che azzeccata, perché è proprio nei progetti meno
popular che l’opera di Steven diventa più interessante.

Le fotografie di Mr Klein hanno un gusto amaro, sono violente, profonde, carnali, ma non scadono mai nella volgarità. I set sono creati alla perfezione, con dettaglio cinematografico e atmosfere pasoliniane su cui predomina quel
blue che non lascia dubbio alcuno sulla paternità dell’immagine. Ci troviamo davanti al fetish, al cuoio, al culto del corpo, al nudo, al sangue, al sesso non sussurrato… per capirlo basta dare un’occhiata al suo calendario di Dieux du Stade, all’editoriale Laura Noir, allo short movie Clorox Blue, al video X-static process o a Secret Cerimony con Dolce e Gabbana.

Si, è vero, stiamo parlando di elementi già visti, di cui siamo saturi e che ormai sono le uniche carte vincenti per emergere su una catasta (termine non casuale) di immagini, ma riuscire a rendere unici dei temi cosi gettonati non è da tutti, e questo talento va riconosciuto ed apprezzato. In fin dei conti tutti i personaggi piú popolari del nostro tempo sono passati per il suo obiettivo, e hanno dovuto seguire le sue regole e la sua estetica. Non è un caso che la citazione più famosa di Steven sia: «Ritrarre nel passato riguardava la documentazione di un individuo ma per me è una documentazione dell’incontro tra me e il soggetto»

Le sue ultime fatiche
Time Capsule (con Amber Valletta),Expose of a murder e Stoya denotano un cambio molto più diretto nella sua produzione. Il nudo integrale sta diventando la sua nuova conditio sine qua non. In fin dei conti, il limite dell’estremo avanza di giorno in giorno, e nessun genio può permettersi di rimanere un passo indietro… Steven Klein incluso.

Vincent Urbani





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SHOWstudio: Factory 2.0


Riuscire a far recitare con successo interpretativo una modella non è impresa facile, come non lo è conquistare l’attenzione del popolo di YouTube su un video che supera i 3 minuti. Puoi usare della buona musica strumentale e contattare un ottimo direttore della fotografia, così da avere almeno l’appoggio degli esperti (veri o presunti) e conquistarti qualche post sui blog d’arte. Il primo problema, però, arriva quando la stylist ti propone i migliori capi dalle ultime collezioni (McQueen, Gareth Pugh, Vivienne Westwood) e inizi a pensare che sarebbe un peccato non usarli e cadi in tentazione.
A quel punto senti un rumore e si illumina una grande X rossa sopra la tua testa: sono i  critici che hanno premuto il pulsantone rosso del “questa non è piú videoarte” perché le contaminazioni commerciali, seppure di altissimo livello, vengono condannate sempre e comunque. Partendo da questa base, il successo dello SHOWstudio di Nick Knight sembra la perfetta unione di un film Disney a lieto fine e la trama di un reality sui giovani creativi appena usciti dalle accademie. Fondato nel 2000 a Londra, lo SHOWstudio ha saputo sfruttare al meglio la potenza della rete per diffondere le proprie produzioni: fashion films, immagini in movimento, dirette dalle passerelle delle fashion weeks, interviste e live performances.
La qualità delle opere firmate Knight e soci è fuori discussione e il paragone con la Factory di Warhol, anche se con meno carica concettuale, non sembra poi un’eresia. Dando un’occhiata alla collezione video su showstudio.com, il coraggio di sperimentare e di seguire strade poco esplorate si nota e, trovandoci di fronte ad opere promozionali, l’esperimento non sembra poi una mossa tanto scontata. Il lusso di poter proporre qualcosa di diverso con dei brand così rinomati va conquistato, con il genio ed il duro lavoro, e mantenuto, con il tempo e la perseveranza. Il consiglio?
La prossima volta che condividiamo un link su facebook, ricordiamoci di questo sito, perché sarà pur vero che i nuovi miti trash di YouTube, i bambini che cantano in macchina e i video dei cuccioli raccolgono sempre il loro successo di “mi piace” e ci fanno tanto ridere, ma perché non proviamo anche noi a rischiare ogni tanto? In fin dei conti Nick Knight l’ha fatto 11 anni fa…e gli è andata bene.




Vincent Urbani




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PATRICK WOLF: David e Golia in un solo corpo



Ascoltare una canzone di Patrick Wolf è un po’ come andare a vedere un film d’autore in un cinema di due sale. Ti aspetti una pellicola interessante, ma dal ritmo non propriamente veloce. Uno di quei film in cui il tuo amico, che ti ha accompagnato giusto per farti un favore, ne approfitta per controllare la posta e whatsappare tutti i contatti possibili, anche la cugina di 15 anni. E invece no.
Sarà che il ragazzo è cresciuto a Londra in una famiglia di creativi, sarà che il mix di elettronica e musica strumentale funziona sempre, sarà che Patrick ci stupisce cambiando il colore di capelli ogni volta che pubblica qualcosa di nuovo (castano, rosso, moro, biondo… e, nota bene, lanciando il trend prima che Rihanna riportasse in voga il colour change) ma le canzoni di Mr. Wolf (con)vincono.
I testi, il pianoforte, la viola, la voce dal timbro unico, forte e maschile (in contrapposizione al suo esile aspetto fisico) rendono ogni album sfornato dalla premiata ditta Patrick Denis Apps (vero nome dell’artista) un successo di pubblico e critica. Ti domandi come un ragazzo di soli 28 anni possa aver già scritto, composto ed interpretato 5 album e te lo immagini come l’ennesimo artista d’avanguardia con la puzza sotto il naso, che fugge ad ogni contatto con il mondo commerciale, finché un giorno te lo ritrovi su tutte le riviste patinate nella campagna di Burberry fotografato da Mario Testino.
Se non avete mai ascoltato un suo pezzo, direi che è arrivato il momento di farlo. Qualche titolo? “Tristan”, “The magic position”, “Hard Times”, “Accident & Emergency” e “Time of my Life” sono solo alcune delle sue canzoni più famose. Non faremo la lista degli album pubblicati perché per questo esiste già Wikipedia (se il sito è ancora pubblico) ma consigliamo vivamente di vedere almeno qualche suo video su youtube.
Ok, Patrick Wolf non ha vinto X-factor, non va agli Mtv Awards, non piange in diretta e non pubblica foto senza trucco su Twitter, ma è proprio il caso di far spazio nei nostri ipod a questo piccolo grande cantante . In fin dei conti sincronizzare due canzoni in più non ci costa nulla, no?




Vincent Urbani




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WOODKID: un genio multitasking








Quando hai 20 anni sogni di poter fare tutto: essere un artista, magari un cantante con una voce unica, o, perché no, un regista, fotografo o compositore. Sogni di essere pagato per le tue idee, viaggiare per il mondo per i concerti, girare il video musicale del momento, avere milioni di visualizzazioni su YouTube o proporre uno stile di musica nuovo e non convenzionale. Di solito tutto ciò rimane solo un sogno: molti non ci provano neanche a farlo diventare realtà, altri studiano, si applicano, ma poi la cosa non prende piede e allora la delusione, le bollette da pagare, il “è ora che inizi a lavorare” dei genitori vincono e tutto segue il suo naturale corso di declino. Chiaramente questo accade se non ti chiami Yoann Lemoine, meglio conosciuto come WoodKid. Cantante, regista, fotografo e art director pubblicitario, francese, classe 1983. La sua voce è una delle più interessanti (non solo del momento) su piazza e il suo primo EP Iron la fa intrecciare ad assoli di pianoforte, percussioni ed archi, mantenendo il beat giusto che ti fa dire: che musica moderna!
Evidentemente aver già diretto a soli 28 anni Katy Perry nel video di Teenage Dream, Taylor Swift in Back to December , Moby in Mistake e Yelle in Ce Jeu non sono state esperienze abbastanza soddisfacenti da fargli pensare: “Ok, ora mi rilasso. Mi adagio un po’ sugli allori e magari concedo qualche intervista qua e là per farmi osannare come nuovo promettente genio della cinepresa”. Infatti, a seguire, sono arrivati i corti per Vogue e la campagna contro l’AIDS Graffiti (che ha vinto cinque Leoni al Festival pubblicitario di Cannes e ha avuto più di 10 milioni di visualizzazioni su YouTube) prodotta niente di meno che dalla HSI (di Hype Williams e David “udite udite”LaChapelle).
Ora il simpatico ragazzo è in tour nella capitali europee, magari per rilassarsi un po’ e godersi il suo meritato pubblico, o forse solo per dimostrare a se stesso che può riuscire a fare sold out senza una collaborazione con David Guetta. Per il momento non ci saranno, ahinoi, concerti in Italia. Ma visti i tempi che corrono, anche solo poter ascoltare in mp3 una voce del genere è un grande privilegio, e magari, alla luce di tanto impegno e dedizione in campi solo apparentemente simili, la sua voce può toccare le corde del nostro cervello e regalarci la voglia di ottenere il massimo… anche senza rischiare di non riuscire a pagare le bollette.


Vincent Urbani
articolo per FareItalia Magazine